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ANTICHI MESTIERI

 

Che cos’è un mestiere?

Il Devoto-Oli così lo definisce: “L’attività specifica , di carattere per lo più manuale, esercitata abitualmente  e a scopo di guadagno

Oggi possiamo parlare ancora di mestiere? Oppure dobbiamo parlare di artigiani? Fino a qualche anno fa quando una persona esercitava un lavoro di tipo manuale per guadagnarsi da vivere veniva indicato come esercitatore di un “Mestiere” e spesso si individuava con il mestiere esercitato (lu zu Cola lu salaru perché vendeva il sale) oppure il mestiere lo si abbinava all’oggetto lavorato (lu zu Nofriu lu curdaru perché produceva corde). Ho citato, non casualmente, due antichi mestieri. Antichi mestieri ormai estinti o forse qualcuno rimane ancora quasi per farci ricordare il nostro passato e la fatica che, i nostri padri o i nostri nonni, giornalmente vivevano per portare a casa un tozzo di pane frutto del loro sudore o ingegno. Tanti di questi antichi mestieri manuali oggi sono scomparsi perché con l'ausilio dell'elettronica e della tecnologia i prodotti che loro offrivano vengono fabbricati più facilmente e molti sono stati soppiantati nel loro uso da altri più consoni alle nostre esigenze. Tanti altri mestieri sono in via di estinzione, poiché al giorno d'oggi non hanno più quella originaria importanza economica e altri sono cambiati radicalmente nella loro specificità iniziale. In questa ricerca voglio riportare alla memoria alcuni di essi per non dimenticarli e naturalmente ho scelto quelli che io ho conosciuto nella mia fanciullezza e per rispetto a quelle persone che tanto hanno fatto per farci ben vivere in quei tempi ormai lontani ed anche perché sono sicuro che tanti, specialmente i più giovani, non abbiano mai conosciuto la loro esistenza.

L’Acqualoro (Acquaiolo) era una persona addetta alla distribuzione dell’acqua per bere. A Mazara non ricordo di aver visto mai questa figura ma ho un bel ricordo di questo mestiere a Trapani. L’acquaiolo era fornito di una “quartara” di terracotta e vendeva l’acqua aggiungendovi qualche goccia di “zammù” (anice) per far rinfrescare la gente nelle giornate più assolate. Lo stesso succedeva nel chiosco di fronte all’uscita principale della stazione ferroviaria che oltre allo zammù aveva la variante con il limone. I bicchieri che usavano entrambi erano di vetro o di coccio, la plastica non era stata ancora inventata.

 

L'AMMOLACUTEDDRA(l'arrotino) che con la sua bicicletta particolare fornita di mola ad acqua si fermava nei quartieri popolari per arrotare coltelli e forbici. Spesso a questa attività allegava anche la riparazione di paracqua (parapioggia e ombrelli).

 

LU BOMBOLONARU (il bombolonaio) con la sua bicicletta/triciclo a punta, come quella del gelataio, preparava la pasta ancora calda fatta di zucchero e caramello colorato. Ce lo trovavamo dappertutto, in tutte le feste ed ogni giorno davanti alle scuole all’uscita ed all’entrata con le sue caramelle carruba (che erano le mie preferite) e i bomboloni di ogni colore che andavano dal giallo limone, al viola delle more, al rosso fragola ed emanavano un gradevole odore che metteva l'acquolina in bocca a piccoli e grandi. Il bombolanaru della mia infanzia si chiamava "Don Saru". Casualmente e con piacere, nel 1971 e mi ricordo bene, l'ho rivisto ad un cinema di Milano dove vendeva nell'intervallo caramelle, patatine e bibite. Aveva cambiato luogo ma non mestiere.

 

LU CALAFATARU (il calafato) erano coloro che incatramavano i gozzi, le barche di legno che servivano per la pesca. Quando le barche da pesca erano costruite solo di legno, i Calafatari per evitare le infiltrazioni d'acqua introducevano, tra le fessure di una tavola e l'altra dello scafo, della stoppa di canapa che successivamente impermeabilizzavano con del catrame. Questo nobile mestiere, tramandato di padre in figlio, esiste ancora oggi ma ormai i Calafati sono molto rari perché oggi i pescherecci o le barche sono costruite in ferro o in vetroresina (specialmente quelle da diporto).

 

 LU CANTASTORII (il cantastorie) è una delle figure più importanti della tradizione orale siciliana e della cultura popolare. I cantastorie (menestrelli, cantanti e affabulatori) si aiutavano con la raffigurazione, su un cartellone, delle principali scene della storia e di uno strumento (chitarra, fisarmonica ecc.). Si spostavano di piazza in piazza in tutti i paesi della Sicilia. Alla fine delle loro esposizioni avveniva la raccolta, con il classico cappello, delle offerte oppure c'era la vendita di dischi, con le loro storie,  oppure di gadget vari (Lamette per barba, saponi, marranzani, ecc.). Ricordo con piacere in piazza Regina proprio Cicciu Busacca (nella foto) e Vito Santangelo, e poi li ho sentiti tutti quelli che passavano da Mazara. Era l'arte che mi piaceva più di ogni altra.  

Lu Carritteri (il Carrettiere) figura mitica dell'iconografia siciliana era l'antico trasportatore di merci varie prima della nascita dei mezzi di trasporto meccanici. Era lui il conducente (l'autista) del carretto trainato da muli o cavalli. Era un personaggio un pò particolare perchè viveva per la strada, in quanto i viaggi duravano tanto, e sopportava disagi di ogni sorta. In Sicilia a volte serviva a trasportare anche i familiari e ciò portò il carrettiere ad abbellire il carretto fino a diventare una sorta di status simbol. Più decorazioni aveva il carretto meglio stava il proprietario. Fino agli anni sessanta non era difficile incontrare ancora carretti in circolazione.

 

Lu Carraturi  (il Carradore) questo mestiere antico individuava  colui che concludeva l'opera di costruzione del carretto infatti provvedeva ai fusi, alle balestre e alle ruote. Con l'aiuto di pialle, asce, seghe e scalpelli metteva "su strada" carrozze e carretti.

 

LU CARVUNARU (il carbonaio)  dopo aver raccolto la legna, la predisponeva in apposti fossati dove l’accatastava in modo da costruire una struttura conica e successivamente la ricopriva di terra  in modo che la cottura avvenisse con poca aria favorendo la trasformazione della legna in carbone dopo l’accensione del fuoco tramite una piccola fessura (purteddu). Dopo una lenta combustione che durava giorni e giorni provvedeva allo spegnimento con l’acqua ed all’insaccamento del carbone. In Sicilia si svolgeva principalmente nelle zone boschive delle Madonie ma era diffusa anche in tante altre zone. Spesso si indicava con questo nome anche il venditore di carbone.

 

LU CONZALEMMA (l'acconciaterraglie)  è una figura completamente scomparsa e per spiegarla ai più giovani mi servirò di un classico della letteratura italiana "La Giara" di Luigi Pirandello. Chi non ricorda Zì Dima che entrato dentro la giara per ripararla vi era rimasto dentro? E' lui. Il Conzalemmi era un riparatore di articoli di terracotta, incollava i cocci con mastice e fil di ferro e attraversando i paesi richiamava ad alta voce i propri clienti invitandoli ad affrettarsi. 

LU CUNZIATURI (pescatore con palamito) è la figura di pescatore che usa il conzo (detto anche palangaru o palamito) quest'arnese è costituito da lenze portanti spesse (lettu) da cui partono i vrazzoli (pezzi di lenza) forniti di ami. La bravura del Cunziaturi consiste nell'innescare gli ami che vengono raccolte in bell'ordine dentro apposite casse o ceste (carteddri). I conzi successivamente vengono calati orizzontalmente in mare ancorate al fondo oppure alla deriva a mezzu funnu e controllati a vista. Con i palangari fissi si hanno come bersaglio i saraghi, i dentici, i merluzzi  mentre con i palangari derivanti si hanno come bersaglio i pesci spada ed i tonnidi.

Lu Curdaru (il cordaio) generalmente intrecciava per strada, con canapa e spaghi,  corde per la pesca e l’agricoltura. La sua abilità consisteva nel coordinare i movimenti delle mani e dei piedi perché una volta fissata la parte iniziale della corda ad un anello, attaccato al muro, il rimanente lavoro di intrecciamento lo svolgeva indietreggiando. Si serviva inoltre di altre persone, generalmente ragazzi, che contemporaneamente avvolgevano tramite una ruota girata a mano le funi. A volte stavo intere ore ad ammirarli lungo la ferrovia alla Makara oppure in via Dante Fiorentino a “lu Cozzu”.  

 

 Lu Custureri (il sarto) è un  mestiere che richiede proprietà innate per poter raggiungere alte vette di bravura e successo. Lu custureri ti faceva scegliere la stoffa, tagliava e cuciva abiti su misura perfetti.  Ormai sono rimasti in pochi i "Couturier" perché adesso con l'avvento del "prêt-à-porter" e degli stilisti che hanno diffuso nuovi stili e nuovi modi per diffondere la moda queste figure crescono e si affermano all'interno di grandi "maison" di moda. Sarti bravi in tutta la penisola italiana ne esistevano tantissimi e la loro bravura ha fatto da traino all'alta moda moderna italiana.

 

 

Lu Firraru-ferrascecchi (il maniscalco)  questo antico ed affascinante mestiere nelle nostre zone è quasi scomparso. Egli non ferrava soltanto cavalli, muli ed asini ma provvedeva alla pulitura degli zoccoli con punteruoli e tenaglie di varia misura. Ricordo con piacere i nostri maniscalchi di via Celso e via F. Pompeano e la loro bravura. Essi, inoltre, realizzavano attrezzi per l'agricoltura ed inferriate varie. Da ragazzino stavo ore ed ore ad ammirarli.

 

Lu Gnuri (il Cocchiere)  il conduttore di carrozza una figura scomparsa con l'avvento dell'automobile. A Mazara uno degli ultimi è stato don Vartuliddru che ricordo benissimo abitava vicino all'Asilo infantile (Corridoni) e era spesso chiamato dalle persone, prive di mezzo di trasporto, per essere condotti alla stazione o al cimitero. Insomma era il vecchio taxista a cui veniva affidato il servizio di trasporto urbano di persone.

 

Lu Lampiunaru (il lampionaio) è un mestiere scomparso da qualche tempo, non ho ricordi personali perché quando ho iniziato a capire c’era già, nelle strade, la luce elettrica, ma i miei genitori ci raccontavano che fino a pochi anni prima i lampioni delle strade funzionavano a olio o a gas e dunque avevano bisogno di un professionista che provvedesse alla loro accensione o spegnimento. La figura incaricata si chiamava, appunto,  “Lampionaio” che provvisto di una lunga pertica con all’estremità superiore una speciale lampada munita di gancio che funzionava da accenditore. Pertanto il lampionaio senza l’aiuto di scale accendeva o spegneva le lanterne.

 

LU LATTARU (la persona che portava il latte di prima mattina nelle case). Con i caratteristici bidoni di alluminio Ciccio (il figlio di una cugina materna) arrivava, con una moto, tutte le mattine di buon’ora a portarci il latte appena munto. Mia madre teneva pronta una camella capiente e al grido “latte!” si affacciava all’uscio per ottenere la razione prenotata. Io, però, non gradivo il latte vaccino e allora aspettavo il Capraio che qualche minuto dopo passava con le sue capre e davanti la nostra abitazione, ne mungeva una, così anch’io potevo bere il mio latte appena munto e caldo. Tutto il quartiere era servito da queste due figure mentre qualcun altro andava direttamente nella stalla dei Piccione, vicino a casa nostra, a procurarsi il latte che don Pietro gli mungeva al momento. Adesso si sceglie la marca del latte al supermercato ed i nomi non sono più Ciccio, Pietro o Michele. Allora il latte era sicuramente fresco di mungitura ora è fresco di frigorifero.

LA LAVANNARA (la lavandaia) lavava la biancheria degli altri. Quando non esisteva la lavatrice queste donne erano preziosissime per le famiglie in cui la donna era ammalata e non poteva lavare i panni. Di questo servizio usufruivano anche le famiglie benestanti che potevano permettersi di pagare. Mestiere duro e faticoso svolto con tanto "olio di gomito". A tante donne, specialmente vedove, ha permesso di sbarcare il lunario.

LU NASSAROLU (pescatore con nasse) è uno dei mestieri più antichi di Mazara. Anche mio padre (nella foto) e mio nonno sono stati nassaroli. Uno bravo doveva innanzitutto raccogliere il giunco giusto, sapersi costruire le nasse e sapere che tipo di pesce voler pescare. Le nasse sono, generalmente, costruite con giunco e germogliazioni d’ulivo, rappresentano delle trappole per il pesce. Il sistema d’entrata è fatto in modo che il pesce una volta entrato non riesca più ad uscire. Per catturarlo si usano delle esche (teste di gamberi, sarde, pulci di mare ecc.) che messe all’interno della nassa, attirano il pesce. Vengono calate in mare in serie legate tra di loro con una corda e fornite di màzzara (un peso per tenerle ancorate in fondo) e vengono segnalate con un galleggiante con banderuole. Una nassa può catturare anche 80 Kg di pesce e di qualsiasi specie, a seconda della grandezza della stessa,  dal tipo di esca usata e dalla caratteristica del fondo dove viene calata.

Lu 'NTRIZZATURI (intrecciatore) è stata una figura interessante e diffusa a Mazara, specialmente ma non solo, nel quartiere “Mulino a Vento” e realizzava oggetti di uso quotidiano intrecciando le foglie secche di Palma nana (Chamaerops humilis) giummara e curina, giunco, canne ed anche di altre piante. Con la “curina” s’intrecciavano coffe e cuffini, zimmili da collocare in coppia sui fianchi dell'animale da soma, per trasportare oggetti e prodotti agricoli, cappelli a larghe tese, borse, cestini, muscalori che sono stati usati da noi tutti sia per cacciare le mosche sia per ravvivare la fiamma di li fuculara. Sempre con la curina si abbellivano le scope che erano fatte con le foglie più larghe e dure della palma nana. Con il Giunco (Juncus effusus) s’intrecciavano fascelle, cestini e cannistri. Con le Canne e le verghe di olivo s’intrecciavano Carteddri, Panara e Cestini vari. Con le foglie dell’Àgave (zabbara) essiccata a strisce si materializzavano corde e spago. Molto particolare era la costruzione dei Fillizzi, sgabelli rudimentali molto usati nelle case di campagna realizzati usando tronchi di Ferla (Ferula communis), Finocchiaccio. Ovviamente per arrivare a sviluppare quanto su esposto c’era il lavoro di ricerca della materia prima, il taglio giusto, l’asciugatura, la battitura, la cardatura e la scelta degli utensili adeguati. A causa della sua specializzazione, poi naturalmente, ognuno di questi ‘Ntrizzatura era segnalato, come Scuparu, Zimmilaru, Fasciddraru, Panararu, Zabbarinaru o Fillizzaru. Poi sono arrivati il petrolio quindi nylon, plastica e vetroresina e siamo diventati progrediti.

LU PALUMMARU (il palombaro) l'antico mestiere del palombaro oggi è in disuso perché si va in fondo con bombole o altre attrezzature più sofisticate. Il "vecchio" palombaro utilizzava un'attrezzatura apposita lo scafandro, appesantito da vari pesi di zavorra, di cui la parte più importante era l'elmo tramite il quale riceveva sostentamento di aria dalla superficie infatti era collegato da un tubo conduttore. Anche le scarpe erano zavorrate con piombo modellato sullo scarpone. Confinante con casa mia abitava un palombaro ed una volta ho preso uno spavento non di poco conto. Salendo all'imbrunire sul terrazzo, di casa mia, mi son trovato davanti un gigante con le braccia aperte: era lo scafandro del palombaro messo ad asciugare. Per noi ragazzi era affascinante la figura del palombaro immerso in fondo al mare che ispezionava e lavorava tranquillamente alimentato da quella pompa a mano poggiata sul molo o a bordo delle barche.

LU PIRRIATURI (cavatore di tufo) prende il nome dalle cave di tufo (pirreri) presenti nel territorio siciliano. Il pirriaturi doveva essere di fisico forte in quanto era un lavoro molto duro specialmente quando si segava a mano prima dell'avvento delle seghe elettriche. Un famoso pirriaturi è stato il poeta siciliano Pietro Fudduni. Le misure del tufo erano: li cantuna vero e proprio, la chiappetta, la chiappa, lu timpagnolu e lu sirratizzu. E' stato un mestiere ad arte, dove si aguzzava l'ingegno per dominare il tufo e non finirne succubi e l'abilità del pirriaturi consisteva nel "trinciari i cantuna" (tagliare i tufi) secondo linee perfettamente parallele e tanto velocemente da sorpassare il compagno di lavoro più vicino, evitando così il fastidio della polvere da lui sollevata, e guadagnare di più perché prevaleva il cottimo.

 

LU PURPIATURI (il pescatore di polpi) anche quest'attività è un mestiere e non è da tutti esercitarla. Per prima cosa bisogna munirsi di fiocina e specchio. La fiocina è composta da un pettine di ferro o acciaio con denti lunghi che terminano ad aletta e da un manico pesante e lungo tre o quattro metri. Lo specchio è formato da un cilindro di lamiera zincata aperto dalla parte superiore e recante un vetro sigillato ermeticamente nella parte inferiore che immerso appena sotto la superfice del mare permette una visione chiarissima del fondo del mare. E' un lavoro di pazienza e di bravura sia nell'individuazione della tana sia per stanarlo sia per trafiggerlo. Bisogna tenere presente che il polpo è uno degli animali marini più intelligenti. La pesca avviene comunque sotto costa.   Ci sono naturalmente altri sistemi per catturare polpi, ho voluto indicare quello che praticato a Mazara ha permesso ad intere famiglie di vivere con i proventi di questo tipo di pesca.

LU SALINARU (chi opera nelle saline) sono i coltivatori del sale uno dei mestieri più antichi della provincia di Trapani che ancora oggi questi lavoratori accompagnano con gesti semplici, giorno dopo giorno da vasca a vasca, l'acqua del mare che diventerà sale. La costa della Sicilia occidentale che da Marsala arriva a Trapani è un susseguirsi di saline con i loro caratteristici mulini a vento. La prima volta che ho visto, da ragazzino, le saline con l'acqua madre color rosa antico ed i Salinari con le loro carriole raccogliere il sale è stata una bellissima giornata ed ho marinato la scuola per dedicargli un'intera mattinata. Ed ancora oggi passare qualche ora a guardare le saline, i salinari, i mulini e le montagnole di sale mi affascina sempre. 

LU SALARU (il venditore ambulante di sale) si differenzia dal salinaro in quanto questo era l'uomo che vendeva il sale con il carretto o con il camioncino andando in giro per i paesi abbanniannu:  aiu lu sali, sali, sali marino!

LU SCARPARU (il calzolaio o ciabattino) mestiere antico anche questo ma mentre negli anni cinquanta aveva come attività principale fare scarpe su misura (quindi calzolaio) oggi sono rarissime le persone che si fanno fare le scarpe su misura. Oggi principalmente lo scarparu ripara le scarpe (ciabattino): mette sopratacchi, risuola o ripara qualche cucitura. Da ragazzino ho lavorato per qualche mese nelle vacanze estive, come si usava fare allora, da un calzolaio dove ho avuto modo di conoscere il mestiere e gli attrezzi: l'affilatissimo coltello (lu trincettu), la lesina, le forme di ferro e di legno (li furmi), il particolare martello, la tenaglia, l'ago (avugghia), i vari tipi di chiodi, l'uso della cera che portava un apicoltore. Altri ricordi indelebili sono: la risolatura delle scarpe dei contadini con chiodi dalla grossa testa ed i ferretti che si usavano per non consumare velocemente punte e tacchi. La bravura e la precisione dei nostri scarpari ha permesso che la scarpa italiana fosse apprezzata in tutto il modo e di questa fama oggi ne usufruiscono i grandi industriali rimorchiati dalla nostra antica tradizione.

 

LU SCRIVANU o scribacchinu era una figura di prestigio in un paese, dove c’erano ancora, negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, tanti analfabeti o semi-analfabeti. La gente si recava da lui per scrivere qualsiasi cosa, domande per ottenere un sussidio, denunce, querele, contestazioni ma, principalmente, lettere ai figli sotto leva o emigrati per lavoro. Un famoso scrivano, oltre che bravissimo con la macchina per scrivere, è stato a Mazara “lu Zu Cicciu Rizzo” molto simpatico perché nel tempo che scriveva, chiedeva notizie e pettegolezzi sulla persona cui doveva essere inviata la missiva. Naturalmente quest’antico mestiere scomparve con l’estensione della scuola dell’obbligo ma nel periodo citato aveva l’ufficio sempre pieno di clienti.

 

LU SIGGIARU (l'aggiustasedie)  di solito pur avendo una piccola bottega ricavata da una stanzetta a piano terra di casa sua, egli svolgeva il suo lavoro per strada davanti la casa del cliente che lo aveva chiamato oppure in un angolo o una piazzetta del rione popolare dove aveva richiamato ad alta voce i propri clienti. Con vari tipi di paglia, martello, chiodi, raspa e colla riparava ed impagliava le sedie. Chi ci crederebbe al giorno d'oggi che esistevano queste figure? Eppure erano insostituibili perché le famiglie riparavano ciò che si rompeva. 

 

LU STAGNATARU (lo stagnino) anche lu stagnataru possedeva spesso una piccola bottega ma anche lui non disdegnava di fare questo lavoro per le strade. Le massaie facevano stagnare specialmente le quarare e le padelle per isolare il cibo dal rame della pentola ed evitare la tossicità del rame a contatto con gli alimenti.  Con una piccola fucina a carbone ed un bastoncino di stagno spalmava tutta la superficie della padella e "Don Miccioni" era l'ambulante preferito dalle massaie per la sua precisione. Altri stagnini operavano per lo più in laboratorio per riparazioni ed opere attinenti al lavoro di altri artigiani e qualcuno si dedicò principalmente alla riparazione di radiatori per auto.

 

LU STAZZUNARU (il lavoratore di argilla) mestiere antico quasi scomparso fabbricava mattoni, bummuli, quartari, tegole e altro. Nello stazzuni il lavoro iniziava all'alba con l'impastatura della creta con i piedi, poi una volta pronta, incominciava la lavorazione degli oggetti richiesti: tegole o mattoni. Dopo alcuni giorni di essiccazione gli oggetti di argilla fabbricati si mettevano nelle fornace per la cottura che durava una notte. Spettacolare era l'esposizione dei manufatti di argilla sotto il sole, belli tutti ordinati. Passavo ore ad ammirarle.
 

LU TAMMURINARU (il Tamburino) non è una figura completamente scomparsa perché ce lo ritroviamo  in tutte le sagre, feste, processioni ecc. Quando io ero ragazzino esisteva la figura del TAMMURINARU inteso non come tamburino ma come una specie di banditore pronto ad ogni occorrenza. Fungeva da pubblicitario per promuovere un negozio che stava facendo particolari sconti, da cercatore se per caso qualcuno si era perso, da promotore di iniziative varie. Era un personaggio ascoltato da tutti quando passava per le strade della città ed una festa per i bambini che lo seguivano e che man mano aumentavano di numero incantati dal ritmo del tamburo.

                                      LU UTTARU (il bottaio) un antico mestiere di privilegiati perché fare il bottaio non è da tutti ci vuole precisione ed esperienza in quanto le doghe devono essere ben piallate e messe una accanto all'altra senza alcuno sfiato unite da cerchi di ferro.  "Un corpu a la vutti e unu a lu timpagnu" (un colpo al cerchio ed un altro alla botte) per indicare la precisione con cui i mastri bottai devono contemporaneamente sistemare le doghe ed arcuare il ferro di sostegno. Rovere e castagno sono i legni preferiti dai bottai per contenere i nostri pregiati vini lavorati e liberati dal tannino che potrebbe trasferirsi al vino. Purtroppo anche le botti piano piano vengono sostituiti da contenitori d'acciaio o di vetroresina ed il mestiere del bottaio mano mano sta scomparendo.

LU VARDARU (il Sellaio) produceva selle e ornamenti per cavalli e muli uno degli ultimi me lo ricordo alla Madonna del Paradiso. Ebbero un ruolo fondamentale al servizio dell'agricoltura e del trasporto in genere. Grazie alla loro inventiva nacque l'attacco degli animali da tiro che permise di sfruttarne tutta la forza proveniente dal pettorale e dall'incollatura. Si ebbero così arature più profonde e carichi più pesanti trasportati con minor sforzo. Per bardare gli animali da cavalcare, preparavano eleganti selle da cavallo. Per il tiro pesante al carretto costruivano staffe, sottopance, redini, bisacce, paraocchi, collari e finimenti vari.                                                                                

LU VASTASU (il facchino, portabagagli) trasportava, nelle stazioni o nei porti, valigie, casse e bagagli vari in cambio di qualche mancia. Adesso è stato sostituito dai carrelli.

 

Accetto sempre dai miei visitatori consigli e suggerimenti per errori o dimenticanze.