Uno dei miei cantautori
preferiti è sempre stato Fabrizio De Andrè. L’ho seguito fin dai primi anni
sessanta quando tanta gente non conosceva le sue canzoni e non capiva le sue
esibizioni da solo con una chitarra. Vi voglio descrivere una sua
cronistoria anche per farvi capire il personaggio. Io l’ho sentito, dal
vivo, per la prima volta al “Patio” di Marsala alla fine degli anni ‘60 è
stata una delle prime e poche esibizioni in Sicilia e ricordo che non erano
moltissime le persone intervenute. Conservo ancora uno dei suoi primi Album.
Fabrizio De André nasce il 18
febbraio 1940 a Genova (Pegli). Nel 1948 i genitori, vista la particolare
predisposizione del figlio, decidono di fargli studiare il violino
affidandolo alle mani del maestro Gatti. Nel 1954 incomincia studiare anche
la chitarra con il Maestro Alex Giraldo e nel 1952 si esibisce per la prima
volta in pubblico, in uno spettacolo di beneficenza, al teatro Carlo Felice
di Genova. Nel 1956 il padre, di ritorno da un viaggio in Francia, gli porta
in regalo due dischi di Georges Brassens, ne traduce alcuni testi e
s’innamora della canzone Francese. Dopo gli studi classici s’iscrive alla
facoltà di Giurisprudenza, ma interrompe gli studi a sei esami dalla fine.
Nel 1958 incide il suo primo disco “Nuvole Barocche” ma la svolta artistica
avviene quando affidando “La canzone di Marinella” a Mina diventerà un
grandissimo successo e Fabrizio De André inizia ad essere conosciuto in
tutta Italia. I suoi amici si chiamano Paolo Villaggio, Gino Paoli e Luigi
Tenco. Nel 1962 sposa Enrica Mignon e dalla loro unione nasce il figlio Cristiano.
Si batte contro l’ipocrisia bigotta e le convenzioni borghesi incidendo
brani come “La guerra di Piero”, “Bocca di Rosa” e “Via del Campo”. Nel 1975
si esibisce in un tour che tocca le maggiori città d’Italia; è la prima
volta che affronta il grande pubblico. In quegli anni si stabilisce, definitivamente, a Tempio Pausania in
Sardegna e dalla nuova compagna Dori Ghezzi nasce nel 1977 Luvi (Luisa
Vittoria) la sua
seconda figlia. Nel 1979 insieme a Dori Ghezzi sono sequestrati dall’anonima
sequestri sarda e per quattro mesi rimangono prigionieri della banda. Di
quel periodo rimane l’album “Indiano” in cui Fabrizio accosta la cultura dei
pastori sardi a quella dei nativi d’America. Pietra miliare e consacrazione
internazionale, infine, nel 1984 con “Creuza de ma” in dialetto ligure e
atmosfera sonora mediterranea. Il disco riceve dalla critica il premio come
miglior album dell’anno e del decennio. Sposa Dori Ghezzi nel 1989 ed inizia la collaborazione con Ivano Fossati. Nel 1990 pubblica “Le
Nuvole”, un disco dichiaratamente politico che culmina con il brano "La
domenica delle salme", a cui segue un successo di vendita, di critica e un trionfo di
pubblico nel tour. Successo che seguirà con l’album live del 1991 e nel tour
del 1992. Nel 1996 con l’ultimo album “Anime salve” torna al successo. Ne
1997 viene pubblicato "Mi innamoravo di tutto" una raccolta di brani scelti
da Frabrizio. Muore
l’11 gennaio del 1999 a Milano stroncato da un male incurabile. A Genova il
giorno del funerale, il 13 gennaio, c’erano più di diecimila persone. E’
stato un grande poeta e cantautore, libero e indipendente dalle logiche del
mercato discografico. Voglio pubblicare qui sotto due tra le sue canzoni una
degli inizi e l’altra che lo consacrò come grande autore internazionale. Per
me due tra le più belle.
IL PESCATORE
All'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura
eran gli specchi di un'avventura.
E chiese al vecchio dammi il pane
ho poco tempo e troppa fame
e chiese al vecchio dammi il vino
ho sete e sono un assassino.
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane
per chi diceva ho sete e ho fame.
E fu il calore di un momento
poi via di nuovo verso il vento
davanti agli occhi ancora il sole
dietro alle spalle un pescatore.
Dietro alle spalle un pescatore
e la memoria è già dolore
è già il rimpianto di un aprile
giocato all'ombra di un cortile.
Vennero in sella due gendarmi
vennero in sella con le armi
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino.
Ma all'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
CREUZA
DE MÄ
(Mulattiera di mare/
stradina che delimita due proprietà )
Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegnì duve l'è ch'ané
Ombre di facce facce di marinai
da dove venite dov'è che andate
da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua
da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
e a muntä l'àse gh'é restou Diu
u Diàu l'é in çë e u s'è gh'è faetu u nìu
e a montare l'asino c'è rimasto Dio
il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u
Dria
e a funtan-a di cumbi 'nta cä de pria
usciamo dal mare per asciugare le ossa dell'Andrea
alla fontana dei colombi nella casa di pietra
E 'nt'a cä de pria chi ghe saià
int'à cä du Dria che u nu l'è mainà
E nella casa di pietra chi ci sarà
nella casa dell'Andrea che non è marinaio
gente de Lûgan facce da mandillä
qui che du luassu preferiscian l'ä
gente di Lugano facce da tagliaborse
quelli che della spigola preferiscono l'ala
figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun
ragazze di famiglia, odore di buono
che puoi guardarle senza preservativo
E a 'ste panse veue cose ghe daià
cose da beive, cose da mangiä
E a queste pance vuote cosa gli darà
cose da bere, cose da mangiare
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae 'nt'u meximu vin
frittura di pesciolini, bianco di Portofino
cervelli di agnello nello stesso vino
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi
lasagne da tagliare ai quattro sughi
pasticcio in agrodolce di lepre di tegole (gatto)
E 'nt'a barca du vin ghe naveghiemu 'nsc'i
scheuggi
emigranti du rìe cu'i cioi 'nt'i euggi
E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi negli occhi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze
bacan d'a corda marsa d'aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta 'nte 'na creuza de mä
padrone della corda marcia d'acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare
Grazie Fabrizio per tutte
le emozioni che mi hai trasmesso.
|