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il dialetto

     "Lingua e dialetto" di Ignazio Buttitta

 

 

Un populu

mittitilu a catina

spughiatilu

attuppatici a vucca

è ancora libiru.

 

Livatici u travagghiu

u passaportu

a tavula unni mancia

u lettu unni dormi,

è ancora riccu.

 

Un populu

diventa poviru e servu

quannu ci arrubbanu a lingua

addutata di patri:

è persu pi sempri.

 

Diventa poviru e servu

quannu i paroli non figghianu paroli

e si mancianu tra d’iddi.

Mi nn’addugnu ora,

mentri accordu la chitarra du dialettu

ca perdi na corda lu jornu.

 

Mentre arripezzu

a tila camuluta

ca tisseru i nostri avi

cu lana di pecuri siciliani.

 

E sugnu poviru:

haiu i dinari

e non li pozzu spènniri;

i giuelli

e non li pozzu rigalari;

u cantu

nta gaggia

cu l’ali tagghiati.

 

Un poviru

c’addatta nte minni strippi

da matri putativa,

chi u chiama figghiu

pi nciuria.

 

Nuàtri l’avevamu a matri,

nni l’arrubbaru;

aveva i minni a funtana di latti

e ci vìppiru tutti,

ora ci sputanu.

 

Nni ristò a vuci d’idda,

a cadenza,

a nota vascia

du sonu e du lamentu:

chissi non nni ponnu rubari.

 

Non nni ponnu rubari,

ma ristamu poviri

e orfani u stissu.

 

 

Un popolo

mettetelo in catene

spogliatelo

tappategli la bocca

è ancora libero.

 

Levategli il lavoro

il passaporto

la tavola dove mangia

il letto dove dorme,

è ancora ricco.

 

Un popolo

diventa povero e servo

quando gli rubano la lingua

ricevuta dai padri:

è perso per sempre.

 

Diventa povero e servo

quando le parole non figliano parole

e si mangiano tra di loro.

Me ne accorgo ora,

mentre accordo la chitarra del dialetto

che perde una corda al giorno.

 

Mentre rappezzo

la tela tarmata

che tesserono i nostri avi

con lana di pecore siciliane.

 

E sono povero:

ho i danari

e non li posso spendere;

i gioielli

e non li posso regalare;

il canto

nella gabbia

con le ali tagliate.

 

Un povero

che allatta dalle mammelle aride

della madre putativa,

che lo chiama figlio

per scherno.

 

Noialtri l’avevamo, la madre,

ce la rubarono;

aveva le mammelle a fontana di latte

e ci bevvero tutti,

ora ci sputano.

 

Ci restò la voce di lei,

la cadenza,

la nota bassa

del suono e del lamento:

queste non ce le possono rubare.

 

Non ce le possono rubare,

ma restiamo poveri

e orfani lo stesso.

 

 Questa bellissima poesia, del grande poeta siciliano Ignazio Buttitta, vuole essere l’incipit con quanto verrò a sostenere: il dialetto non deve essere abbandonato. Nel mio caso mi riferisco al dialetto delle mie origini, il Siciliano. Nel periodo degli studi universitari mi ero molto appassionato nello studio della Glottologia e della Filologia proprio perché mi facevano entrare non solo nel significato ma anche nelle origini delle parole e questa forma mentis mi è rimasta, per cui spesso mi viene quasi spontaneo cercare la morfologia delle parole. Sono sempre stato un sostenitore dei dialetti, non per un fattore di divisione regionale ma al contrario per difenderne l’appartenenza e non farci risucchiare tutti dalla Lingua Italiana "televisiva" che ormai tutti parliamo e guai a chi non parla come la televisione: è un ignorante (magari quella persona sta parlando in una forma più classica o più forbita). Per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, la Sicilia è sempre stata nel corso dei secoli terra di conquista. Greci, Cartaginesi, Romani, Arabi, Normanni colonizzarono la Sicilia e inserirono nell’idioma siciliano degli antichi abitanti (Siculi e Sicani) varie parole nuove trasformando l’antica parlata. Successivamente morto l’ultimo re normanno con Enrico VI di Hohenstaufen si ebbero le baronie tedesche per circa un ventennio, ed anche la lingua tedesca lasciò il suo segno nel dialetto siciliano. Nel 1208 divenne re di Napoli e di Sicilia Federico II di Hohenstaufen, figlio di Costanza d'Altavilla, fino al 1250. Alla morte dell’imperatore Federico II, subentrò il fratello del re di Francia, Carlo D’Angiò, che la tenne dal 1266 al 1282. Durante questo periodo angioino, il francese più moderno fu usato molto e rimase con tante espressioni ancora oggi in uso. Con la Pace di Caltabellotta nel 1302 la Sicilia fu assegnata agli Aragonesi. Nel 1479 la Sicilia diventò vicereame spagnolo fino al 1712 quando fu attribuita ai Savoia, in cambio della Sardegna (1720). I Borboni spagnoli che per circa 300 anni occuparono la Sicilia inserirono le loro espressioni, il loro linguaggio e le loro cadenze linguistiche che  divennero un unicum con la precedente parlata.  In alcune zone si sente anche l’influenza longobarda dove questi ultimi ebbero delle colonie (Novara di Sicilia, Nicosia, Sperlinga, Aidone e Piazza Armerina). Considerato tutto quanto suddetto, possiamo sostenere che nel dialetto Siciliano ci sono i segni di tutti questi popoli. Qualcuno sostiene, a buona ragione, che il Siciliano è una lingua. Giuseppe Pitrè a fine ottocento formulò la prima grammatica siciliana e più di recente c’è stata quella di Pietro Galante, solo per citare due tra i più famosi. A me, il Siciliano, piace pensarlo come dialetto. Il Siciliano presenta le sue varie parlate locali, con le sue particolari pronunce, i propri vocaboli, a volte le peculiari costruzioni sintattiche. Due sono le teorie cui fanno riferimento gli scrittori e artisti siciliani: Il fonografismo e l'etimologismo. La prima teoria è caratteristica della poesia popolare, il siciliano parlato trasposto, con molta disinvoltura, foneticamente. L'Etimologismo vorrebbe, invece, fondare la lingua siciliana su una grammatica d'appoggio con caratteristiche sintattiche, fonetiche e grafiche super-partes. Non mi cimento ad esporvi né la grammatica siciliana né la sua fonetica ma voglio presentarvi alcune caratteristiche del dialetto per farvelo comprendere o leggere meglio. Per esempio, nel dialetto siciliano, gli articoli sono:

lu oppure u = il

la oppure a = la

i oppure li = gli

Il dialetto Siciliano ha molti suoni diversi dalla lingua Italiana. La maggior parte è costituita da una pronuncia cacuminale ottenuta piegando all'indietro la lingua contro il palato o particolari suoni caratteristi come:  

la forma dd sostituisce LL e suona foneticamente ddhr (es. agneddu, cavaddu, beddu) e si può scrivere anche ddru

la forma CI o SCI rappresenta il suono Ç sostituisce la forma latina FL (es. ciumi, sciara)

la forma tr suona simile alla pronuncia inglese tree = albero (es. tri, truvari, trippiu)

la forma Str suona come la parola inglese street = strada (es. strittu, strata, strunzu)

la forma ggh sostituisce la forma italiana gl (es. figghiu, figghia, famigghia)

In Sicilia spesso la fonetica però varia da zona a zona con inflessioni diverse e certi vocaboli sono pronunciati in modo diverso. Voglio indicarvi adesso alcune parole siciliane, di cui, alcune usate ancora, altre un pò in disuso o dimenticate, più per rinfrescarvi la memoria e riprenderle. Accanto indicherò l’origine:

 

Abbanniari (fare pubblico annuncio) dal tedesco: bandujan

Abbuccari (cadere, capovolgere) dallo spagnolo: abocar  

Abbuffarisi (satollarsi) dal francese: buffer

Accabbari (fine, alla fine) dal catalano: acabar

Accarizzari (carezzare) dallo spagnolo: acariciar

Accattari (acquistare) dal normanno acater; o dal francese: acheter

Addruari (affittare) dal francese: louer

Addrumari (accendere) dal francese: allumer

Addunarisi (accorgersi, realizzare) dal catalano: adonar-se

Addurmmiscirisi (addormentarsi) dallo spagnolo: adormecerse

Affumatu (affumicato) dallo spagnolo: ahumado

Affruntarisi (vergognarsi, imbarazzarsi) dal catalano: afrontar-se 

Agghiurnari (far giorno) dal francese: ayourner

Aggranfari (prendere con violenza) dal tedesco: kraffa

Allippatu (unto d’olio, sporco) dal greco: lipos

Ammàtula (inutilmente) dal greco: màten

Ammintuari (nominare) dal francese: mentevoir

Ammucciari (nascondere) dal francese: mucer ; o dal catalano: amagar

Anciova (acciuga) dallo spagnolo: anchoa ; o dal catalano: anxova

Anchiu (largo, ampio) dal latino: amplum

Annacari (cullare, dondolare) dal greco: naka

Annittari (pulire) dal francese: nettoyer

Antura (poco fa) dal latino: ante oram

Arraffari (prendere in confusione) dal tedesco: raffàan

Arrancari (muoversi con affanno) dal tedesco: rank, gotico: wranks

Arrassari (allontanare) dall'arabo: arata

Arrè (ancora) dal francese: arrière

Arriciuppàri (racimolare frutta dopo il raccolto) dallo spagnolo: rechupar

Arricogghirisi (tornare a casa) dallo spagnolo: arrecorgese; o dal catalano: recollir-se

Arrusciari (innaffiare) dal francese: arroser; o dal catalano: arruixar

Arrusu (omosessuale) dall'arabo: arrus

Astracu (terrazzo) dal latino: astracum

Atturrari (tostare) dallo spagnolo: torrar

Azzizzari (abbellire, impreziosire) dall'arabo: aziz

Babbaluci (lumaca) dall’arabo: babalush; o dal grego boubalakion

Babbiari (scherzare) dal greco: babazo

Babbìu (ciarlare) dal greco: babazo

Balanza (bilancia o scale) dallo spagnolo: balanza

Balata (lastra di pietra) dall'arabo: balàt

Banna (lato) dal provenzale: banda; o dal longobardo: banda

Baraunna (baraonda) dallo spagnolo: barahunda

Barracanu (tessuto) dall'arabo: baracàan 

Baruni (uomo libero) dal tedesco: baro

Basculla (bilancia) dal francese: bascule

Battarìa (cinguettare) dal greco: battarizo

Beccu (caprone) dal tedesco: bock

Bifara (una specie di fico) dal latino: bifera

Brinnisi (io offro a te) dal tedesco: bring dir sie

Bucali (boccale) dal greco: baukalion

Buffetta (tavolo) dal francese: buffet

Bùmmulu (fiasco) dal greco: bomylios

Bunaca (giacca maschile) dall'arabo: baniqah

Burgisi (possidente) dal francese: borgès

Burnia (barattolo) dall’arabo burnya

Buttunera (fila di bottoni) dal francese: boutonnière

Cabbasisi (coglioni) dall'arabo: habb-aziz

Cafisu (cafiso, misura d’olio) dall’arabo: qafiz

Càlia (ceci tostati) dall'arabo: haliah o qualyya

Cammareri (servo) dallo spagnolo: camarero

Càmula (tarma) dall’arabo: qamil o qamla

Canèa (schiamazzo, rumore) dal latino: cane-is

Canìgghia (crusca) dal latino: canilia

Cannavazzu (straccio) dallo spagnolo: canhamaco

Càntaru (vaso da notte) dal greco: cantaro

Capulìari (tritare, pestare) dallo spagnolo: capolar

Carriari (trasportare) dal francese: charrier 

Carriari (trasportare) dallo spagnolo: acarrear

Carrubu (carrubo) dall'arabo: karrub

Cartedda (cesta) dal greco: kartallos; o dal latino: cratellum

Caruso (ragazzo) dal greco: kouros; o dal latino: caro

Casciuni (cassetto) dallo spagnolo: cajon

Casentula (lombrico) dal greco: ges enteron

Cassata (la famosa torta siciliana) dall’arabo: qashatah  

Castiari (castigare) dallo spagnolo: castiar

Cazzalora (casseruola) dallo spagnolo: cazerola

Chiumazzu (cuscino) dallo spagnolo: plumazo

Ciaccazza (spaccatura, crepa) dall'arabo: saqqaqa

Ciàuru (odore) dal latino: flatum

Ciminia (ciminiera) dallo spagnolo: chimenea

Cirasa (ciliegia) dal greco: kerasos; o dal latino: cerasum

Ciuncu (storpio) dal tedesco: cionk

Coffa (sporta) dall'arabo: quffa

Crianza (educazione) dallo spagnolo: crianza

Criata (serva) dallo spagnolo: criada

Criscimogna (crescita, sviluppo) dal catalano: creiximoni

Cubba (cupola) dall'arabo: kubba

Cubbàita (torrone con sesamo) dall'arabo: qubbayt, kubbayt

Cuccìa (grano bollito) dall'arabo: kishkiya

Cucuzza (zucca) dal latino: cucutia

Cuddrura (forma di pane) dal greco kollyra; o dal latino collyra

Cuddrureddra (ciambella) dal greco: kollura

Cugnatu (cognato) dal longobardo: cognao

Cunortu (rassegnazione) dallo spagnolo: conort

Curtigghiu (cortile) dallo spagnolo: cortijo

Custureri (sarto) dal francese: couturier

Cuttuni (cotone) dall’arabo: qutun

Dammusu (soffitta) dall’arabo: dammùs

Duana (dogana) dall’arabo: duana

Esti (è) dal latino: est

Farfànti (bugiardo,fanfarone) dallo spagnolo: farfante

Fàusu (falso) dallo spagnolo: faus

Feu (feudo) dal tedesco: fehu

Filìnia (ragnatela) dal latino: filum

Firnicia (smania) dal greco: frenitis

Foddri (pazzo) dal normanno: fol

Forfici (forbici) dal latino: forfex

Frazzata (coperta) dallo spagnolo: frazada

Fumèri (concime) dal francese: fumier

Funnacu (fondaco) dall’arabo: funduq

Gebbia (laghetto artificiale/vasca per acqua) dall’arabo: gabya, gebbe, gheben

Giannettu (cavallo da corsa) dallo spagnolo: jinete

Giarra (giara) dall’arabo: girrah

Gileccu (gilè) dal francese: gilet

Giuggiulena (semi di sesamo) dall’arabo: giulgiulan

Giugnetto (luglio) dal francese: juillet ; o dal normanno: juignet

Giubba (giacca da uomo) dall'arabo: giubbah

Giùmmu (pennacchio) dall'arabo: giummah

Giuràna (rana) dall’arabo: giaranàt

Grasciu (grasso, sporco) dal latino: crassus

Grasta (vaso di fiori) dal latino: gastra

Grattari (grattugiare) dal francese: gratter

Iardinu (giardino) dal francese: jardin 

Isari (alzare) dal francese: hisser

Jurnata (giornata) dallo spagnolo: jornada

Lanzari (vomitare) dallo spagnolo: lanzar

Lascu (sparso, rado) dal provenzale: lasc

Lassàri (lasciare) dallo spagnolo: laissar

Làstima (lamento, affanno, fastidio) dallo spagnolo: làstima

Lavànca (precipizio) dal provenzale: lavanca

Lazzu (laccio) dallo spagnolo: latz

Liccumia (goloseria)  dall’arabo: luxum

Liffiuni (oppio - schiaffone da fare addormentare) dall'arabo: afium

Lippu (grassume, muschio) dal greco: lipos

Locca (scema) dallo spagnolo: loca

Luèri (pigione) dal francese: louer

Macasenu (magazzino) dall’arabo: makahzin

Maccu (minestra di fave) dall'arabo: makla

Manca (sinistra) dallo spagnolo: manco

Matinata (mattinata) dallo spagnolo: matinada

Mattanza (uccisione dei tonni) dallo spagnolo: matanza

Màttula (bambagia, cotone) dal latino: matula

Màzzara (peso) dall'arabo: massra

Mischinu (poveretto, meschino) dall’arabo: miskin

'Mparari (imparare) dallo spagnolo: amparar

Muarru (armadio) dal francese: armoire

Muccaturi (fazzoletto) dal francese: mouchoir; o dal catalano: amocador

Muntata (salita) dallo spagnolo: montada

Munzeddu (cumulo, mucchio) dal francese: moncel

Murriti (smanie, nocività) dal turco: mudir

Muscaloru (ventaglio per le mosche) dal latino: muscarium

Muschitta (zanzara) dallo spagnolo: mosquito

Naca (culla) dal greco: nake

Nànfara (costipazione nasale) dall'arabo: thanfarah

Nfuddiri (impazzire) dallo spagnolo: affollir

Ntamatu (sbalordito, imbambolato) dal greco thauma

Ntavulatu (intavolato) dallo spagnolo: entablado

Nurizza (balia) dal francese: nourrice

Nutricari (alimentare nel senso di dare alimento) dal latino: nutricare

Nzaiari (provare) dallo spagnolo: ensayar

Nzemmula (insieme) dal latino: in simul

Nzirtari (indovinare) dal catalano: encertar

Oggellannu (l’anno scorso) dal latino: hodie est annus

Orbu (cieco) dal longobardo: orb

Ovannu (quest’anno in corso) dal latino: hodie est annus

Pagghiazzu (pagliaccio) dallo spagnolo: payaso

Palataru (palato) dallo spagnolo: paladar

Paraggiu (pari, uguale) dal provenzale: paratge

Parpagghiuni o Parpagghiolu ma anche Pappagghiuni e Pappagghiolu (farfalla) dal francese: papillon

Parrinu (prete) dal francese: parrin

Passiari (passeggiare) dallo spagnolo: pasear

Parràstru (patrigno) dallo spagnolo: padrastro

Picciottu (giovanotto, commesso) dal francese: puchot

Pignata (pentola) dallo spagnolo: piñada

Pinzeddru (pennello) dallo spagnolo: pincel

Pirciàri (bucare) dal francese: percher

Piricuddu o Pidicuddu (picciolo) dal latino: pediculus

Pistiàri (mangiare) dal greco: apestiein o estiàio

Pitànza (pietanza) dallo spagnolo: pitanza

Pitrusinu (prezzemolo) dal greco: petrosélinon

Preula – Prevula (pergola) dal tedesco: prieel

Prèscia (fretta) dal latino: pressa

Priarisi (essere contento) dal catalano: prear-se

Purritu (fradicio) dallo spagnolo: porri; dal francese: pourrit

Quartara (brocca) dall'arabo: quitar

Racina (uva) dal francese: raisin

Raggia (rabbia) dal francese: rage

Rais (capo ciurma di pesca) dall'arabo: rais

Ruffianu (ruffiano) dallo spagnolo: rufian

Runfuliari (russare) dal francese: ronfler o dallo spagnolo: ronflar

Saimi (grasso) dall'arabo: schaim

Sanfasò (alla S. disordinatamente) dal francese: sans façon

Sauru (marrone, rossiccio) dallo spagnolo: sauro

Scagghia (pezzetto) dal tedesco: skalia

Scaliàri (cercare) dal greco: skalèio

Sciarra (rissa) dall'arabo: sciarr

Sciarriarisi (litigare) dall’arabo: sciarr

Scinnuta (discesa) dallo spagnolo: schenduda

Scioppetto (bottiglietta di birra) dal tedesco: der schoppen

Scippari (strappare) dal francese: chipper

Scippu (furto) dal francese: chipper

Scupetta (fucile da caccia) dallo spagnolo: escopeta

Scurciari (scorticare) dallo spagnolo: ècorchr

Senia (ruota idraulica per sollevare l'acqua) dall'arabo: senja (è stato trasmesso tutto il sistema)

Sgarrari (sbagliare) dal catalano: esgarrar

Soggiru (suocero) dal longobardo: suoxer

Sosizza (salsiccia) dal francese: saucisse

Sparagnari (risparmiare) dal tedesco: sparen

Spingula (spillo) dal francese: esplingle

Sulità (solitudine) dallo spagnolo: soledad

Surra (ventresca dei Tonnidi) dall'arabo: sorra

Tabacchera (tabacchiera) dallo spagnolo: tabaquera

Tabutu (cassa da morto) dall'arabo: tabut

Taddrarita (pipistrello) dal greco: nycterida

Tanfu (puzza) dal tedesco: tampf

Tannu (tempo fa, allora) dal latino: tandiu

Tastari (assaggiare) dal francese: taster

Tianu (tegame) dal greco: tèganon

Travagghiari (lavorare) dal francese: travailler

Trippiari (folleggiare) dal francese: triper

Trunzu (troncone) dallo spagnolo: tronceTruppicari (inciampare) dallo spagnolo: trompicar

Truscia (fagotto) dal francese: trousse

Truvari (trovare) dallo spagnolo: trobar

Tuppuliari (battere) dal greco: typto

Vardari (custodire) dal tedesco: wartên

Vastasu (volgare) dal greco bastazo

Vastari (rovinare) dal tedesco: wastjan

Vasteddra (forma di pane rotonda) dal tedesco: wastel

Vrazzu (braccio) dallo spagnolo: brazo

Vucceri (macellaio) dal francese: boucher

Zagara (fiore d’arancio) dall’arabo: zahara

Zibbibbu (tipo d’uva) dall’arabo: zabib

Zicca (Zecca) dall’arabo: sikka

Zita (fidanzata) dallo spagnolo: cita

Zuccaru (zucchero) dall’arabo: sukkar

Zuccu (tronco base di vite) dall’aragonese: soccu ; o dallo spagnolo zoque

 

Altre particolarità del dialetto siciliano sono:

-    la parte finale dei vocaboli italiani in – e -  (es. pane, parole, sole, cane, stivale, dottore) in siciliano terminano con la – i - (pani, paroli, suli, cani, stivali, dutturi);

-     i vocaboli che in italiano finiscono per - o - (es. becco, scippo, solo, tanfo, vento, mondo) in siciliano terminano con la - u - (es. beccu, scippu, sulu, tanfu, ventu, munnu).

Tutto quanto ho finora detto è frutto di schietto carattere popolare e spero non infastidisca qualcuno che sulla linguistica ha passato l'intero arco della propria vita.