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RICORDI E MEMORIE MAZARESI

 

 Mio padre diventa pescatore

Quando nel 1917 il fratello Andrea, ragazzo del ’99, era stato chiamato alle armi Nicolò, classe 1910, aveva appena compiuto sette anni salì in solaio, dove la sua famiglia teneva giunco e arnesi per fare le nasse ed incominciò ad esercitarsi per farne una. Appena fu pronta durante la cena rivolto al padre, lu zu Battista ucchialuni nassarolo e proprietario di due barche, a bruciapelo gli chiese: “Pà ora che Vi manca un marinaio posso venire a mare io al suo posto?”. Il padre, al momento, si sbalordì e la prima cosa che gli uscì dalla bocca fu “ma tu sei troppo piccolo e poi, ancora, devi imparare sia a scuola che nel mestiere” Nicolò di rimando rispose “ a scuola perdo solo tempo e nel mestiere già sono pratico so fare persino le nasse” “è vero?” chiese il padre ridendo e ammiccando il figlio Vincenzo che aveva incominciato a ridere con fervore. Nicolò, punto nell’orgoglio, salì nel solaio e in pochi secondi scese con una bella nassa. Il padre e Vincenzo smisero di ridere e guardarono sbigottiti l’opera commentando la quasi perfezione della nassa. Il padre allora gli promise che finito l’anno scolastico, mancava ormai un mese, lo avrebbe portato a pescare. Nicolò quella sera andò a letto persuaso e felice di diventare, nel giro di qualche mesetto, pescatore nassarolo. La promessa del nonno fu mantenuta e nel mese di giugno, a soli sette anni, Nicolò diventò aspirante nassarolo. Tanti bambini, in quegli anni, diventavano pescatori in età infantile senza scandalo alcuno, era normalità.
(Naturalmente il colloquio è avvenuto tutto in dialetto, l'ho riportato in lingua italiana per farlo capire anche a chi non è siciliano - Nella foto mio Padre militare nella Regia Marina)

 

Lu Zu Jacu Ancitanu (Giacomo Gancitano)

Vi presento uno dei Pioneri della pesca a strascico di Mazara, mio nonno. Lo strascico, che ha rappresentato da più di un secolo l’attività principale della marineria mazarese, fa parte della pesca al "traino" ed in cui la rete esercita la capacità di cattura del pesce mentre è trainata dalla barca. La rete è costituita da molte pezze di rete lavorate con filo di diverse dimensioni e maglie di varie aperture fino a terminare con un sacco finale con maglie di 4 cm circa. La rete a strascico impiegata comunemente è quella a divergenti. Infatti, due divergenti di metallo o legno a forma rettangolare o ovoidale, provvedono a tenere la bocca della rete aperta in senso orizzontale. Dei cavi d’acciaio, che variano la lunghezza a seconda del fondale, provvedono al traino. La cala consiste nel mettere in acqua la rete, i divergenti ed i cavi e può durare da 2 a 4 ore mediamente. Il salpamento, la tirata a bordo della rete, si conclude con l’apertura del sacco finale e la cernita del pesce che è incassettato per specie e qualità. Vi voglio presentare uno dei Pionieri di questa pesca che sicuramente tanti anziani pescatori hanno conosciuto e tanti altri ne hanno sentito raccontare le sue prodezze. Sto parlando di “lu zu Jaucu Ancitanu” ovvero Giacomo Gancitano classe 1870 nato a Mazara e da tutta la marineria conosciuto come uno dei precursori della pesca a strascico. A chi naviga oggi sul web sicuramente, cercando notizie sulla pesca a Mazara, non è sfuggita questa foto in cui nella didascalia lu zu Jacu (Giacomo Gancitano nella foto) è indicato come l’armatore, anche se in quegli anni si diceva solamente “lu patruni”. Il peschereccio “Santissimo Gesù Salvatore” fu uno dei primi a motore della nascente flotta di Mazara del Vallo, erano gli anni venti e fino allora si andava a pescare a remi o a vela. Lu Papuri, purtroppo, fu il primo peschereccio affondato, nel 1939, nel canale di Sicilia e in cui un pescatore perse la vita. Dopo la guerra, i figli Salvatore, Vito, Giovanni e Giacomo continuarono l’attività, così come i generi, tutti di famiglie di pescatori: Giovanni Tumbiolo (lu zu Giuvanninu) sposato con Elisabetta, la primogenita; Pietro Giacalone (lu zu Petru miccu) sposato con la figlia, Anna; Nicolò Asaro (lu zu Cola ucchialuni) sposato con la terza, figlia, Filomena; Giovan Battista Asaro (Battista Pantolla) sposato con la quarta figlia, Giuseppa. Tutti eminenti pescatori che hanno trasmesso ai figli il mestiere e che hanno onorato la marineria mazarese, fino a pochi anni fa, con il lavoro, la dedizione e con pescherecci di loro proprietà. Giacomo Gancitano è stato un vero caposcuola della pesca moderna e dell’imprenditorialità marittima mazarese.

 

Lu Papuri di Tunisi

Pescando nei ricordi di una Mazara che fu, spesso mi ritorna in mente la nave Città di Tunisi (Lu Papuri di Tunisi). Alla fine della seconda guerra mondiale era stata restituita alla Tirrenia e il 3 giugno 1947 la Città di Tunisi riprese i servizi passeggeri di linea, sulla tratta Napoli-Palermo-Tunisi. Tra il 1951 ed il 1952 la Città di Tunisi fu sottoposta a radicali lavori di rimodernamento e, terminati i lavori, il 28 maggio 1952 la motonave tornò in servizio sulla linea Napoli-Palermo-Tunisi. Nel suo percorso la nave faceva scalo a Mazara rimanendo alla fonda in rada, perché il porto era piccolo e non ne permetteva l’attracco, mentre i passeggeri erano accompagnati dal Portello (Purteddru) alla nave con delle grosse scialuppe insieme alle loro valigie e vettovaglie varie tra una baraonda di amici e parenti che chiamavano e salutavano e naturalmente tanti curiosi. Ho assistito, spesse volte, da ragazzino curioso imparando a memoria le frasi del militare della capitaneria che, con un megafono, invitava amici, parenti e curiosi ad allontanarsi per permettere l’imbarco dei passeggeri. Arrivati a babordo della nave, salivano, piano piano, a bordo con una biscaglina (scaletta di corda). Dopo che tutti erano saliti la nave emettendo per tre volte il segnale con la sirena di bordo incominciava a far manovra per navigare alla volta di Tunisi mentre i parenti, da lontano, salutavano svolgendo un vortice di fazzoletti bianchi. Una festa bellissima che non ho mai dimenticato. Per la cronaca ricordo, a chi sta leggendo, che la nave fu costruita tra il 1929 ed il 1930 dalla società Florio Società Italiana di Navigazione, era una motonave passeggera, lunghe 125,16 e larga 15,53, iscritta al Compartimento marittimo di Palermo e destinata alla linea celere Napoli-Palermo-Tunisi-Tripoli. Nel marzo 1932 la Compagnia Florio si fuse con la Compagnia Italiana Transatlantica formando la «Tirrenia Flotte Riunite Florio-Citra», che il 21 dicembre 1936, a seguito dell'unione con altre compagnie minori, formò la Tirrenia Società Anonima di Navigazione. La Città di Tunisi seguì i mutamenti delle società armatoriali. Nel giugno-luglio 1940, in seguito all'ingresso dell'Italia in guerra, la Città di Tunisi fu requisita dalla Regia Marina ed iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato come incrociatore. In seguito dopo altre modifiche svolse servizio sulla linea Napoli-Reggio Calabria- Catania-Siracusa-La Valletta-Tripoli e nell’ultimo periodo dal 1970 al 1971 fu utilizzata nella tratta Napoli-Cagliari-Palermo. Posta in disarmo, fu venduta, ai fini della demolizione, e smantellata nell'estate 1971. La “Città di Tunisi” è stata un grande nome della marina Italiana e Mazara può sfoggiarla nel suo medagliere.

 

La moglie del pescatore

La moglie del pescatore, appena alzata, si affacciava alla finestra e scrutava il cielo, ascoltava il vento e se passava qualche parente pescatore o conoscente chiedeva notizie del mare e allora o si tranquillizzava se la notizia era di mare calmo o entrava in ansia alla notizia di mare mosso o agitato. Alla fine degli anni cinquanta e inizio dei sessanta la radio incominciò ad entrare nelle case dei pescatori mazaresi ma non come fonte di distrazioni ma per mettersi in ascolto, in onde corte, con l’ufficio radio che era stato allestito dalle poste e serviva ai proprietari dei pescherecci per comunicare con i capitani delle loro barche. Il canale prescelto era spesso il 21/39 e nelle famiglie dei pescatori tutti i giorni, dopo le otto del mattino, si sentiva la voce dell’addetto postale alla comunicazione che incominciava a chiamare per nome i pescherecci: “Lottatore, Lottatore 21/39 passo!” se il Lottatore non era in linea dopo tre chiamate, ne chiamava un altro “Giacomo Rosario, Giacomo Rosario 21/39 passo!” quando il capitano con voce gracchiante, dovuta spesso alla distanza o al segnale fiacco, rispondeva l’addetto passava il ricevitore al proprietario del peschereccio che chiedeva notizie del tempo, del pescato eccetera, eccetera. Le chiamate finivano alle dieci e trenta e fino allora nelle case dei pescatori il ripetersi delle chiamate era il solo mormorio della prima mattinata. Le mogli dei pescatori cambiavano aspetto dopo aver sentito le notizie e così potevano iniziare la giornata che tutti si auguravano in serenità. (Nella foto - Mia Madre, la moglie del Pescatore, negli anni Cinquanta del XX° Secolo)

 

La divisione dei pesci

In Italia lo sviluppo dell'industria degli elettrodomestici prende avvio dalla fine degli anni Quaranta ma i primi frigoriferi nelle case dei mazaresi arrivarono alla fine degli anni Cinquanta. Fino allora erano in uso le famose ghiacciaie. A casa mia ne avevamo una in legno chiaro con l’interno in lamiera e, favoriti dalla vicinanza con la “Machina di ghiacciu” di Via Verona, quando mio padre ritornava dalla pesca mia madre, così come tutte le mogli di pescatori della zona, mandava me e i miei fratelli a recuperare un po’ di ghiaccio che mettevamo dentro la ghiacciaia per mantenere il pesce fresco ancora per qualche giorno. Nelle famiglie di pescatori dove i genitori tornavano dalla pesca dopo sei/otto giorni, il problema di mantenere il pesce fresco era evidente e ci si arrangiava o con le ghiacciaie (non tutti l’avevano) oppure c’era l’usanza di regalarlo. Nella mia famiglia quando mio padre tornava dalla pesca, portava a casa la ghiotta (prevista dal contratto locale) che di solito corrispondeva in una cassetta di pesce misto, calamari, triglie, caponi gallinelle, caponi lire, tracine raggiate, scorfani, scampi ecc., ammucchiati dentro una cassetta di legno, coperti di ghiaccio e da un foglio di carta cerata con stampata una triglia di scoglio con i baffi. Subito dopo aver stipato dentro la ghiacciaia quelli per l’uso familiare, si badava a dividere il resto ad amici e parenti.  Io e mio fratello Giacomo eravamo incaricati a consegnarli e lo facevamo con immensa gioia perché i parenti cui dovevano portare i pesci non ci avrebbero fatto tornare indietro a mani vuote, sempre qualche mancia ce la davano. Era un’usanza molto bella ed economizzante perché, allo stesso modo, si comportavano gli altri parenti pescatori così nelle nostre famiglie, non mancavano mai i pesci freschi. [Questo brano, già riportato anche in dialetto nel link: http://andreasormani.altervista.org/storiepescatori.htm nella puntata n. 18 è stato preso, nel luglio 2017 e senza alcuna mia autorizzazione, dal gruppo facebook MazaraStory con cui avevo collaborato precedentemente per la pubblicazione del libro "Nostra Magica stagione" http://www.andreasormani.altervista.org/PresentazioneLibro.htm. Il brano è stato assegnato inavvertitamente, come sostengono alcuni, a Pietro Asaro (del tutto ignaro dell'operazione). Ho voluto sottolineare la cosa, così se vi capita di leggere il racconto da qualche altra parte sappiate che la proprietà letteraria è esclusivamente mia, Andrea Asaro]. 

Lu pusticeddru

Negli anni sessanta, con i miei amici, avevamo scelto come luogo per nuotare “li petri longhi” nei pressi del faro di ponente, del vecchio porto, in particolar modo “lu pusticeddru” (il posticino) dove insistevano, in mezzo a tutte quelle rocce appuntite, due rocce basse e piatte ed esattamente dietro la “laustera*”. Finito, l’anno scolastico era con vero piacere iniziare l’estate con una bella mangiata di ricci perciò armati di maschere e pinne, ci dirigevamo al nostro punto di ritrovo dopo aver comprato un “pistuluni” (filone) di pane dal primo fornaio che ci capitava lungo il percorso. Alle nove del mattino già eravamo pronti per la prima immersione a coppie si andava verso le praterie (trisci) di posidonia poco distanti e iniziavano “li capuzzuna” ovvero immersioni per la raccolta del pregiato prodotto il riccio (Paracentrotus lividus) della famiglia Parechinidae che noi erroneamente chiamavamo riccio femmina per distinguerlo dall’Arbacia lixula che indicavamo come riccio maschio e che in realtà sono specie differenti. Dopo un paio d’ore avevamo innalzato sull’antemurale un paio di montagne di ricci che al “pronti partenza e via” ognuno, con il proprio coltello, incominciava a spaccare e mangiare. In una mezzoretta avevamo divorato tutto, poi steso l’asciugamano, ci riscaldavamo al sole. Era iniziata la nostra estate che ci avrebbe identificato sul posto come frequentatori abituali per tutta la stagione.

* Laustera era un pezzo di mare, all’interno del vecchio porto di Mazara nella diga foranea di ponente, dove c’erano delle gabbie che servivano ai pescatori per mantenere vive le aragoste (in dialetto Lausti). Proprio lì davanti una mattinata ero sceso in mezzo le rocce per cercare una cassetta (succedeva spesso che lì si arenasse qualche cassetta per il pesce caduta in mare dai pescherecci) ho sentito un verso strano, tipo un latrato, al ché mi sono alzato ed ho urlato agli amici che mi aspettavano sulla banchina "oh! c'é un animale, un cane" "Ignorante! Non confondere l'oro con il piombo" era la voce di don Totò Compagno, il tabaccaio di Via Luigi Vaccara, che stava leggendo, come al solito un quotidiano piegato, galleggiando. Di rimando chiesi "Cos'è don Totò?"  e lui rispose "Guardala bene, questa è un esemplare, ormai quasi scomparso, di Foca Monaca". E' stata la prima e l'ultima volta che ho visto una Foca Monaca a Mazara.

 

Chi si ricorda?

La lepre di mare (Aplysia depilans) che in mazarese chiamavamo “Broma” è un Opistobranchia dell’ordine dei molluschi gasteropodi, una specie di lumaca di mare nuda (senza conchiglia)  della famiglia Aplysiidae. Negli anni cinquanta e fino ai settanta del novecento la costa di Mazara abbondava di questi animali marini, infatti, essa frequenta acque poco profonde che vanno da circa 1,5 metri e fino a 10 m. solitamente in zone piene di macerie di erbe marine e coralli, preferendo le aree ombreggiate.  La posizione dei suoi rinofori (organo usato per l'odore) e i suoi tentacoli orali la fanno assomigliare leggermente ad una lepre da cui prende il suo nome comune in Italia. Se si spaventa, potrebbe rilasciare un colorante viola o biancastro per respingere i pesci che la attaccano. Da ragazzini andando a nuotare a quarara, a “lu lava carretti”, al ponte di ferro o a “li petri longhi” eravamo sempre accompagnati dalla sua presenza e spesso ne eravamo impauriti ma l’animale era abbastanza arrendevole e non disturbava. Chi se ne ricorda? E chi ha notato, la sua presenza, in anni recenti? Io l’ultima volta che ne ho vista una è stato a Lampedusa quattordici anni fa.

E di questa vi ricordate?

Poiché tanti si sono ricordati della lepre di mare (Aplysia depilans) che in mazarese chiamavamo “Broma”, voglio portare alla Vostra memoria un altro ricordo. Chi si ricorda della Tremolina (Hediste diversicolor) in mazarese Trimulina? Era, tempo fa, un’esca molto utilizzata a Mazara, specialmente da parte dei cunziaturi (pescatori con palamito) e dei pescatori sportivi. Molto abbondante si trovava nella fanghiglia dietro il campo sportivo che allora non aveva l’attuale molo, ma insisteva nel luogo una spiaggetta fangosa piena di piante di agave. E’ un verme della famiglia dei Nereidae e vive in una tana nella sabbia o nel fango delle spiagge o degli estuari a bassa salinità, la voce "diversicolor" è dovuta al fatto che il suo colore cambia da marrone a verde causata dall’avvicinarsi della stagione riproduttiva. Può crescere fino a 10 cm di lunghezza e può avere da novanta a centoventidue segmenti quando matura, è un predatore ed è in grado di adattare la propria dieta a tutto ciò che è attualmente disponibile.It spins a mucus net at the entrance of its burrow in which it traps phytoplankton , zooplankton , diatoms , bacteria and other small particles. The head has a pair of palps, two pairs of antennae, four pairs of tentacles and four eyes. La testa ha due palpebre, due coppie di antenne, quattro coppie di tentacoli e quattro occhi e un vaso sanguigno prominente che corre lungo la superficie dorsale dell'animale. This ragworm is pale brown but changes to green as the gonads mature and the breeding season approaches. La sua serie si estende dal Mar Baltico e dal Mare del Nord verso sud alle Azzorre, il Mar Mediterraneo e perfino nell'Atlantico nord-occidentale.  Hediste diversicolor è diffuso e comune e viene mangiato da molte specie di uccelli e pesci. I pescatori lo usano come esca per la pesca in mare alle orate, alle marmore, al cefalo e molte altre specie di pesci.It is also available commercially. Come esca è anche disponibile in commercio.

La Senia

Tra i ricordi e memorie mazaresi sicuramente è molto interessante accennare gli antichi metodi d’irrigazione prima dell’elettrificazione totale del territorio. E’ noto che l’irrigazione dei campi ha avuto inizio intorno al 6000 a. C. sia in Egitto sia in Mesopotamia. Queste società antiche hanno dirottato i fiumi del Nilo e del Tigri / Eufrate tra luglio e dicembre e dopo, l'acqua sarebbe stata scaricata nei fiumi Il primo, però, grande progetto d’irrigazione vera e propria avvennero intorno al 3100 a. C. in Egitto e prevedeva la costruzione di dighe e canali per dirottare le acque d’inondazione dal Nilo in un lago artificiale. Lo shadoof o shaduf, un grande palo bilanciato su una trave trasversale con una corda e un secchio legati a un'estremità e un contrappeso sull'altra estremità, fu inventato intorno al 1700 a.C. Questo dispositivo ha funzionato tirando la corda per abbassare il secchio in una fonte d'acqua, quindi sollevando il secchio e facendolo ruotare attorno al palo verso i campi d'acqua o spostando l'acqua verso un'altra fonte. Permetteva l'irrigazione quando non c'erano inondazioni e terreni più alti che dovevano essere coltivati. Perciò quando gli Arabi nell’827 d. C. sbarcarono a Mazara e conquistata, in breve tempo, l’intera isola che con le sue terre fertili e il suo clima mite e, costatata, la presenza di una buona disponibilità idrica, fu sin dai primi anni, della conquista, molto apprezzata, e sfruttata con diverse culture. Gli Arabi rimasero, in Sicilia, per circa 300 anni e, forti delle loro esperienze nel settore irriguo, provvidero fin da subito a dotare l’isola dei sistemi irrigativi da loro ben padroneggiati. A Mazara, ma quasi in tutta la Sicilia, il sistema irrigativo che grazie agli Arabi si diffuse e utilizzato fino negli anni sessanta del novecento, è stata la “SENIA” che serviva a tirare acqua dai pozzi. L’impianto prevedeva un largo pozzo, dove vi s’installava una macchina di legno costituita da una fune trasportatrice verticale stesa fra due tamburi rotanti e munita di numerose quartare (anfore a bocca larga) che appena arrivavano in fondo al pozzo, si riempivano d’acqua e risalivano versando il loro contenuto in un’ampia Gebbia (grossa vasca in muratura). A muovere macchina idraulica ci pensavano gli asini “ciechi”, così chiamati, perché “condizionati” da grossi paraocchi evitavano di disorientare l'animale e sfuggire ai capogiri (poiché girava sempre intorno)La facilità di irrigare i terreni permise ai siciliani la realizzazione di lussureggianti giardini e rigogliosi orti. Mi ricordo bene delle senie funzionanti nella zona di Miragliano sia di qua che "addrabbanna lu ponti" in Via Tevere (adesso accanto al cantiere di Orazio Patti). Ancora oggi in qualche parte della Sicilia (ad esempio a Castevetrano) per indicare un giardino si dice “Senia”. Da senia deriva anche il verbo siniari che significa faticare, lavorare in modo monotono e duro. Perciò se vi capita di vedere in giro questi siti:  

Siete in presenza di resti di SENIA.